La prevalenza della patologia è quindi in aumento, ma è in aumento la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi: quest’ultima è passata, infatti, da valori del 68% negli anni ’90-’95, a valori del 91% negli ultimi anni. Questo risultato è la conseguenza dell’anticipazione diagnostica conseguent alla diffusione del test del PSA e del miglioramento dei trattamenti per il tumore sia in fase localizzata che in fase avanzata.
Come per molte altre neoplasie, il carcinoma della prostata ha un’eziologia multifattoriale e rappresenta il prodotto di interazione tra una componente genetica e una ambientale. La prima è dimostrata da un certo grado di familiarità, dalla correlazione tra carcinoma prostatico e condizioni geneticamente determinate, come la Sindrome di Lynch e le mutazioni genetiche del BRCA 1 e 2, e dalla differente incidenza nelle varie razze che vede quella nera più a rischio per questo tipo di patologia. La componente ambientale si estrinseca attraverso una dieta ricca di calcio, l’esposizione ad agenti cancerogeni come il cadmio e la dimetilidrazina. Il più importante fattore di rischio però rimane l’età: il carcinoma prostatico è infatti una neoplasia tipica degli uomini sopra i 50 anni.
La diagnosi di tumore prostatico si basa sulla visita urologica, sul dosaggio del PSA, sull’ecografia e sulla biopsia eco-guidata. Tutti questi metodi presentano però limiti di sensibilità e specificità. La stessa biospia, che dovrebbe essere il metodo più accurato, presenta dei limiti: in primo luogo è una procedura invasiva in quanto comporta un numero elevato di prelievi (12-14, ma in alcuni casi anche più) eseguiti in entrambi i lobi della prostata, in secondo luogo i prelievi possono non centrare il tumore. Per quanto riguarda il PSA, questo esprime una probabilità di presenza di tumore; indicativamente, a un valore compreso tra 4-10 ng/ml corrisponde un 25% di probabilità mentre a valori maggiori a 10 ng/ml corrisponde un 50% di probabilità di neoplasia.
In questo contesto si inserisce la Risonanza Magnetica della prostata che consente un netto miglioramento delle possibilità di diagnosi proponendosi come metodo diagnostico non invasivo.
La Risonanza Magnetica (RM), grazie all’elevata risoluzione di contrasto per i tessuti molli e alla possibilità di acquisizioni mediante sezioni di spessore sottile secondo diversi orientamenti, è stata utilizzata sin dagli anni ‘80 per lo studio della ghiandola prostatica e delle sue alterazioni patologiche, sia di natura benigna che maligna. Inizialmente lo studio della prostata era basato solo su un approccio esclusivamente morfologico. Negli anni più recenti, la ricerca in campo radiologico si è rivolta allo sviluppo di tecniche complementari alle acquisizioni morfologiche con lo sviluppo di metodi che consentono l’acquisizione di informazioni funzionali e sulla vascolarizzazione. L’insieme di questi metodi prende il nome di Risonanza Multiparametrica della prostata (mpRM) che è la tecnica impiegata oggi a livello internazionale nei Centri che si occupano della patologia prostatica.. Una volta acquisito l’esame con la tecnica multiparametrica, le immagini vengono valutate dal Radiologo secondo un metodo standardizzato che prende il nome di PI-RADS (Prostate Imaging Reporting and Data System).
Il PI-RADS (nella versione che viene oggi utilizzato) è stato redatto dall’American College of Radiology e dalla European Society of Uroradiology nel 2015 al fine di standardizzare le metodiche di studio, vista la notevole variabilità nell’esecuzione e nell’interpretazione dei dati raccolti. Secondo questo documento è possibile, solo sulla base della valutazione radiologica, attribuire un punteggio alla lesione, che ne esprime il rischio di malignità:
• PI-RADS 1 = rischio molto basso (estremamente improbabile la presenza di neoplasia clinicamente significativa);
• PI-RADS 2 = rischio basso (improbabile la presenza di neoplasia clinicamente significativa);
• PI-RADS 3 = rischio intermedio (la presenza di neoplasia clinicamente significativa è equivoca);
• PI-RADS 4 = rischio alto (è probabile che sia presente una neoplasia clinicamente significativa);
• PI-RADS 5 = rischio molto alto (è altamente probabile la presenza di neoplasia clinicamente significativa).
Sulla base del punteggio ottenuto sarà possibile orientarsi verso determinate opzioni successive, quali ad esempio una agobiopsia “mirata” sulle aree sospette (nei casi con PI-RADS 4 e 5); questa procedura non sarà necessaria per i casi con PI-RADS 1 e 2, mentre nei casi PI-RADS 3 la valutazione dovrà essere collegialmente discussa con l’Urologo che deciderà l’iter più opportuno per il paziente.
L’esame di mpRM richiede una tecnica di esecuzione precisa e necessita di una apparecchiatura di Risonanza Magnetica avanzata con intensità di campo magnetico elevata, pari a 1,5 Tesla o 3 Tesla.
Negli ultimi anni Il ruolo e la validità della Risonanza Magnetica multiparametrica della prostata è stato ed è tuttora oggetto di molti studi scientifici. Tra questi di particolare valore sono i risultati di uno studio multicentrico comparso nel maggio di quest’anno sull’autorevole rivista New England Journal of Medicine che ha dimostrato come l’utilizzo della mpRM prima della biopsia per definire il rischio di tumore della prostata (e l’eventuale successivo impiego della biopsia “mirata” basata sui reperti della RM) era superiore all’approccio tradizionale basato sulla biopsia guidata dall’ecografia. Nello stesso studio si è dimostrato inoltre che in un numero rilevante di casi si è evitato il ricorso alla biopsia in quanto i reperti RM non evidenziavano immagini di lesioni sospette evitando in questo modo di sottoporre i pazienti a una procedura invasiva.